Renzo Montagnani meritava di più: la malattia del figlio, i debiti e le sfortune di un attore sottovalutato
- Redazione

- 21 mag
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Renzo Montagnani, il talento dimenticato della commedia all’italiana
Alessandrino di nascita ma fiorentino d’adozione, Renzo Montagnani resta uno degli attori più sottovalutati del panorama cinematografico italiano, specialmente dalla critica. Nato l’11 settembre 1930 e scomparso il 22 maggio 1997 a Roma, Montagnani fu tra i massimi esponenti della commedia sexy all’italiana, genere che – proprio per la sua popolarità – fu spesso snobbato dagli ambienti più intellettuali, i quali tendevano a demonizzare qualsiasi forma d’intrattenimento che non rientrasse nella rigida cornice del “cinema impegnato”.
Eppure, come lui stesso ebbe a dire più volte, recitare bene non significa soltanto portare Shakespeare sul palco. Anzi, secondo l’attore, “testi così profondi e belli rendono persino più facile il compito dell’interprete”. Durante un convegno del 1977, sfogò tutta la sua amarezza:
“Io mi ritengo l’ultimo in graduatoria, anche se venisse fuori qualcun altro nuovo, io resterei sempre l’ultimo. Un critico, un giorno, ha scritto di me ‘attore da bordello’. Io ho sofferto tanto, perché non mi sento affatto un attore da bordello. Mi sento un attore con alle spalle ventiquattro anni di professione seria”.
Una carriera tra leggerezza e profondità
Montagnani è noto soprattutto per le sue interpretazioni nei classici della commedia sexy: Il vizio di famiglia, Quel movimento che mi piace tanto, La moglie vergine, Lezioni private, La soldatessa alla visita militare, Il ginecologo della mutua, L’insegnante va in collegio, solo per citarne alcuni. Tuttavia, il suo talento si espresse anche in opere di ben altro spessore.
Nel 1970 recitò accanto a Massimo Ranieri, Ottavia Piccolo e Lucia Bosè nel dramma Metello. Nel 1972 fu tra i protagonisti de Il sindacalista di Luciano Salce e, nel 1982, fu scelto da Mario Monicelli per Amici miei – Atto II, ruolo che riprese anche nel terzo capitolo del 1985, stavolta per la regia di Nanni Loy. Partecipò inoltre al film storico-biografico State buoni se potete (1983) di Luigi Magni, accanto a Johnny Dorelli e Philippe Leroy.
Meno noto al grande pubblico è il lavoro eccellente svolto nel doppiaggio: Montagnani prestò la sua voce a mostri sacri del cinema internazionale come Charles Bronson, Gene Hackman e John Savident (nell’iconico Arancia meccanica).
Una vita segnata dal dolore
Nonostante il sorriso sempre pronto e la maschera comica, Renzo Montagnani celava un dolore profondo. Lo ricordarono con parole affettuose grandi nomi della cultura, come Indro Montanelli, che disse:
“Anche come attore ha sacrificato il suo talento, che era grande, accettando qualsiasi cosa. Una vita disgraziatissima, la sua, da questo punto di vista”.
Anche Mario Monicelli ne lodò la professionalità e l’intelligenza artistica:
“Uno straordinario professionista. Purtroppo sottovalutato. Per ragioni familiari non poteva permettersi di scegliere e doveva accettare qualunque proposta”.
Il peso più grande fu senza dubbio la malattia del figlio Daniele, come raccontato anche da Lino Banfi:
“Volevo aiutarlo, avevo capito che era in seria difficoltà. Era disperato e beveva molto per il dolore procuratogli dalla malattia di Daniele, un ragazzo bellissimo e molto alto”.
Daniele Montagnani è morto nel 2004 a 41 anni, sette anni dopo il padre, e anche lui per un tumore. In un’intervista al Corriere della Sera, Walter Veltroni ha ricostruito uno dei momenti più tragici della vita dell’attore:
“Nel 1963, mentre tutto sembrava sbocciare, nasce Daniele. Ma il parto fu drammatico: i medici usarono il forcipe e Daniele rimase segnato per sempre. Non sapeva parlare e questa impossibilità d’esprimersi generò in lui una furia incontrollabile. Un ragazzo bellissimo, alto e biondo, ma profondamente fragile e bisognoso di cure continue”.
Un attore da riscoprire
Renzo Montagnani ha pagato il prezzo di essere stato troppo bravo in un genere giudicato ‘minore’. Ma chiunque abbia amato il cinema italiano tra gli anni ’70 e ’80, non può dimenticare la sua voce calda, la sua ironia raffinata, la sua capacità di passare con disinvoltura dal sorriso alla malinconia.
E forse oggi, a distanza di anni, è tempo che anche la critica riconosca il valore di un artista che, pur tra mille difficoltà, non ha mai smesso di recitare con passione e dignità.









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